Lucertole e formiche
Lucertole e formiche
In quell'assolato pomeriggio estivo, sdraiato all'ombra della rigogliosa pianta di fico del mio giardino, riposavo nel dolce far niente del corpo e della mente. Nell'aria torrida, soltanto il frinire incessante delle cicale. Una lucertola strisciava pigramente, a tratti cambiando direzione, sulla parete scrostata del muro di cinta. La lunga teoria di formiche, che avevano preso d'assalto un frutto caduto dall'albero, in un'instancabile andirivieni dal formicaio, mi riportò ai versi di Eugenio Montale: ...Nelle crepe del suolo o sulla veccia/spiar le fila di rosse formiche/ch'ora si rompono e ora s'intrecciano/a sommo di minuscole biche... Nel trascorrere dei versi le immagini presero a sfocarsi fino a confondersi, scambiandosi, come in una dissolvenza cinematografica, con un "paesaggio" sconosciuto che andava lentamente delineandosi in primo piano. Mi trovai davanti ad una porta perfettamente liscia e bianca, non una maniglia, né una toppa per la chiave, incardinata in un agglomerato di nuvole striate con i colori sfumati dell'iride. Sull'architrave la scritta: Verso l'Infinito. Inaspettatamente la porta si aprì rivelando un corridoio la cui lunghezza era tale da rendere invisibile il punto di arrivo. Iniziai a percorrerlo senza averlo deciso, levitando nello spazio indefinito, attraverso dimensioni indecifrabili. Fui ricevuto in una stanza senza pareti, senza soffitto, senza pavimento, senza porte, senza finestre. Pure aveva uno spazio, un volume, una luce, un accesso. Era... grande, immenso, sconfinato. Era un gigante! Le sue braccia così grandi da avvolgere ogni esistenza naturale e soprannaturale. Le sue mani così forti da stringere fino a sbriciolare, fino a rendere in polvere ogni passato, ogni presente, ogni futuro; nondimeno, pronte a donare sinfonie immortali alla commedia della vita. Due oceani, gli occhi, profondi più degli abissi, aprivano strade di seta verso orizzonti inesplorati, verso conquiste insperate. Aprendosi il petto mi mostrò il suo cuore: rosso come la violenza di un tramonto d'agosto, incommensurabile come lo spazio siderale, palpitante come il respiro di un vulcano in eruzione, capace di regalarsi senza condizioni e di negarsi senza remissione. Fui sorpreso dalla sua voce calda e al tempo stesso ferma, determinata, che non ammetteva repliche: "Sono breve come un fulmine improvviso che precede la tempesta, eterno come l'universo innato, che evolve, cambia, si trasforma, non si esaurisce mai". "Io sono il Tempo!" Affermò con voce stentorea. I suoi occhi si rivolsero a guardare l'infinito. La sua immagine iniziò lentamente a sfumare fino a confondersi, scambiandosi, come in una dissolvenza cinematografica, con il ben noto paesaggio del mio giardino in quell'assolato e torrido pomeriggio estivo. Il mio sguardo cercò la lucertola, ritornai a spiare le formiche considerando che, forse, né la lucertola, né le formiche avrebbero mai avuto il privilegio di conoscerlo... il Tempo!
(Antonio Fiorito - Padova, 7 ottobre 2019)