Patrizia Invernizzi Di Giorgio: La tempesta
..................................................................................................................................................................................................................
La tempesta
Ogni giorno il barcone
si allontana, la riva
il villaggio la città
sono ricordi sfuocati,
dietro le spalle gli
spettri
della sete, della
povertà,
della fame.
Lo sguardo dei migranti
ondeggia tra speranza e
dolore.
Il continente è invisibile,
rassicurante compare l'orizzonte
e la sua chiara linea
fra la terra e il cielo.
Le acque increspate
luccicano, all'improvviso
si alza un vento di
tempesta,
che strappa l'ultima
sabbia dai vestiti.
Le onde impazzite
frustano come verghe i
corpi,
nella morsa del freddo
tutti gemono, urlano
disperati,
hanno volti lividi di
paura,
ognuno invoca il suo dio.
La barca cavalca flutti
ruggenti,
lotta senza sosta.
Si stringono i migranti,
le madri nascondono nel
seno
i bambini
il loro è un sovrumano
muro di carne.
Il carico è pesante,
troppo leggero quel legno,
travolto da una cascata di
schiuma
è solo un guscio vuoto.
Come un'avida bocca
il mare buio inghiotte i
passeggeri,
verso l'abisso
le braccia aperte sono
ali di uccelli.
Il Mare Nostrum
custodisce sul fondo
un cimitero senza tombe
né fiori, nemmeno
pianti di donne.
Là sepolta giacerà per
sempre
l'umana speranza
di una vita migliore.